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Lettera al Ministro Orlando: a Palermo inspiegabili bocciature di massa

Sono stati pubblicati lo scorso 28 giugno, dopo mesi di attesa, arriva la batosta per buona parte dei candidati che si sono visti registrare la bocciatura. Stiamo  parlando della prova per esame avvocato 2015, dove a Palermo si sono registrate tantissime insufficienze, pari addirittura al 36% dei partecipanti.

Una lettera da parte di alcuni aspiranti avvocati per manifestare rabbia e delusione. Ecco il testo integrale inviato al Ministro della Giustizia, Andrea Orlando. A Palermo, un gruppo di praticanti avvocati  hanno deciso quindi di affrontare i veri problemi che si celano dietro ad un esame concepito male e gestito malissimo, e per questo motivo hanno inviato una lettera aperta al Ministro della Giustizia, Andrea Orlando, ecco il testo:

Come certamente ben sa, nel nostro Paese viene richiesto ad un giovane laureato Magistrale in Giurisprudenza, che voglia intraprendere la bistrattata professione d’avvocato, di svolgere un periodo di diciotto mesi di pratica forense, nella prassi non retribuita, di spendere cifre non indifferenti per l’iscrizione agli albi dei praticanti e per la formazione, ormai, divenuta un business.

Tutto questo, solo per avere la possibilità di sostenere un concorso camuffato da esame di abilitazione. I tempi per sostenere le diverse prove, tre scritte ed una orale, ed ottenere la tanto agognata abilitazione sono notevolmente lunghi. I criteri di valutazione non sono univoci e non è possibile, nella maggior parte dei casi, ricostruire il percorso motivazionale di chi ha corretto.
In buona sostanza, il futuro del giovane giurista viene deciso dall’imperscrutabile arbitrio di un commissario che, vedendo il candidato come un possibile futuro concorrente, si arroga il potere di regolare il numero di quanti vorrebbero accedere alla professione.
In caso di esito negativo, l’aspirante avvocato dovrà attendere nuovamente un anno per poter ripetere la prova, nel medesimo clima di incertezza.
In tutto questo arco di tempo, che si può snodare lungo diversi anni, il praticante non è in grado di sostentarsi autonomamente. Egli, mettendo da parte l’orgoglio, deve chiedere ai propri genitori l’ennesimo esborso economico.
A tale difficile situazione, si aggiunge un quadro legislativo che mira a soffocare sul nascere la libertà di una professione che di “libera” ha ormai poco. Tale normativa, che introdurrà la pratica forense e la scuola obbligatoria a numero chiuso, oltre che aggravare ulteriormente le modalità d’esame, viola palesemente il disposto dell’Art. 3 della nostra Carta Costituzionale. Il principio di eguaglianza, inoltre, è già leso dall’enorme disparità di trattamento esistente tra le modalità di accesso all’abilitazione forense e tutte le altre abilitazioni professionali.
Peraltro, un sistema così impostato si pone chiaramente in contrasto con l’Art. 2 Cost. Gli alti costi, uniti alla totale assenza di qualsivoglia forma di rimborso spese, rendono difficoltoso l’accesso alla professione forense, facendone una vera e propria casta, su cui gli avvocati possono mantenere il controllo sull’accesso.
Ci risulta difficile concepire il motivo per cui un giovane, laureatosi all’età di ventiquattro anni, debba trovarsi, quattro anni più tardi e alla soglia dei trenta, nella più assoluta incertezza circa il proprio futuro.
Per quanto ci riguarda, presso la Corte d’Appello di Palermo, si è assistito quest’anno ad una inspiegabile bocciatura di massa.

Nella specie, circa 400 candidati sono stati ammessi alla prova orale su 1122 partecipanti. I non idonei si sono visti valutare con votazioni ingiustificatamente basse, che denoterebbero gravissime lacune non solo giuridiche ma anche linguistico-grammaticali.

Una conclusione non condivisa dal Preside della Facoltà di Giurisprudenza di Palermo, Prof. Avv. E. Camilleri. Quest’ultimo, in una recente intervista rilasciata al quotidiano La Repubblica, ha affermato che alcuni laureati dell’Università di Palermo sono risultati i migliori durante l’ultimo concorso in magistratura.

Noi rifiutiamo di accettare l’idea che il 65% degli aspiranti avvocati della Corte d’Appello di Palermo sia una massa di incapaci. Perché questo è ciò che ci vorrebbe suggerire un’epidemia di voti infimi come quella registrata.

Noi riteniamo, invece, che i nostri elaborati siano stati corretti e valutati con una superficialità che non meritano. Perché in quei manoscritti, sono condensati anni di sudore, di speranze e di aspirazioni.
L’assenza di qualsivoglia segno di correzione e l’assoluta mancanza di motivazione sugli elaborati ci umilia. L’art. 46, comma 5, della Legge 31 dicembre 2012 n. 247, nel disciplinare le modalità di correzione delle prove scritte, infatti, dispone che la commissione deve “annotare le osservazioni positive o negative nei vari punti di ciascun elaborato, le quali costituiscono motivazione del voto che viene espresso con un numero pari alla somma del voti espressi dai singoli componenti”.
Un’interpretazione costituzionalmente orientata ed evolutiva della normativa citata, ha trovato abbondante accoglimento nella giurisprudenza degli ultimi anni.

La predetta violazione di legge, pertanto, potrà essere sanata solamente da una ricorrezione degli elaborati, che sarà possibile solo a seguito della presentazione di ricorsi al TAR. Come lei sa, la giustizia amministrativa in Italia é un privilegio che non tutti si possono permettere. Il candidato che intende ricorrere al TAR, per la ricorrezione delle prove, infatti, dovrà versare allo Stato circa 650 Euro di contributo unificato oltre il compenso professionale dell’avvocato.
Nonostante tutto, noi crediamo ancora in questa professione.
Una professione in cui ormai, soprattutto per i giovani, gli oneri superano i benefici, le responsabilità superano le soddisfazioni.

Una professione che, oggi più di ieri, ha assunto i contorni di una missione.
Ora più che mai, risuonano nelle nostre orecchie le parole di Piero Calamandrei: “Beati coloro che soffrono per causa di giustizia… ma guai a coloro che fanno soffrire con atto di ingiustizia! E, notate, di qualunque specie e grado di ingiustizia… perchè accogliere una raccomandazione o una segnalazione, favorire particolarmente un amico a danno di un estraneo o di uno sconosciuto, usare un metro diverso nella valutazione del comportamento, o delle attitudini, o delle necessità degli uomini, è pur questo ingiustizia, è pur questo offesa al prossimo, è pur questo ribellione al comando divino”.

Da Palermo e provincia