Clamoroso il caso di Palermo, al primo posto per spese funebri e tariffe amministrative (+18,6%): in città un migliaio le bare, da oltre un anno, accatastate in depositi e tensostrutture per mancanza di posti per la tumulazione.
L’Unione Nazionale Consumatori ha condotto uno studio stilando la classifica completa delle città con i maggiori rincari o ribassi del 2020 per i principali beni e servizi
A far discutere sono le spese funebri a Palermo. Come riportato dall’ANSA un rialzo da primato, pari al 18,6%, al secondo posto Livorno con +13,4% e al 3° Genova, +11,4%. Al primo posto per i ribassi Lecco, -2%, seguita da Brescia, -1,8% e Reggio Emilia, -1,1%. In Italia +1,4%.
I rincari più elevati sono alla voce “altri servizi” che comprende tariffe amministrative, servizi legali e servizi funebri. A Palermo che detiene il primato, seguono Livorno con +13,4% e Genova, +11,4%. In Italia +1,4%. Il capoluogo che ha il maggiore incremento per quanto riguarda i prodotti alimentari è Caltanissetta con un’inflazione di +4,2%, al secondo posto Trieste, Grosseto e Trapani (tutte a +3,1%). La media italiana è +1,5%, pari ad un aumento della spesa alimentare, senza bevande, di 77 euro per una famiglia tipo.
Per quanto riguarda la fornitura di acqua e servizi vari connessi all’abitazione (acqua, rifiuti e spese condominiali) Palermo (+5,6%) segue Gorizia (+6%), e, al terzo posto, Napoli (+5,1%). La città più virtuosa è Genova, -12%, poi al secondo posto Trapani, -6,8%.
Preoccupanti, vista l’emergenza sanitaria, i rialzi dell’assistenza sociale che comprende case di cura per anziani, nidi d’infanzia e servizi di assistenza a domicilio. Le città peggiori sono Messina (+4,6%), Pescara (+4,5%) e Vicenza (+4,1%), le più brave Livorno (-5,4%), Pordenone (-3,8%) e Cosenza (-2,1%). Italia: +0,6%. Male Cagliari (7°, +2,4%), Venezia (8°, +2,3%), Torino (9°, +2%) e Napoli (10°, +1,8%).
Per quanto riguarda la fornitura acqua e servizi vari connessi all’abitazione, ossia fornitura acqua, raccolta rifiuti e spese condominiali, una vera e propria stangata per chi abita a Gorizia (+6% rispetto al 2019), Palermo (+5,6%) e, al terzo posto, Napoli (+5,1%). La città più risparmiosa è Genova, -12%, poi al secondo posto Trapani, -6,8%, e sul gradino più basso del podio Potenza, -6,4%. Tra Gorizia e Genova il divario è pari a ben 18 punti percentuali. In Italia questa voce segna un incremento dello 0,5%. Tra i capoluoghi di regione si evidenzia la pessima performance di Cagliari, 5° con +4,4%, e Milano, 6° con +4,2%. Bene Bari, 12° tra le città in contrazione con -1,4% e Roma, 13° con -1,3%.
ll capoluogo che nel 2020 ha il maggiore rialzo per quanto riguarda i prodotti alimentari ) è Caltanissetta con un’inflazione pari a +4,2%, al secondo posto Trieste, Grosseto e Trapani (tutte a +3,1%), poi Perugia con +2,9%. Dall’altra parte della classifica Parma, unica città in deflazione, -0,1%, poi Siena con +0,1% e al terzo posto Macerata, +0,3%. La media italiana è +1,5%, pari ad un incremento della spesa alimentare, senza bevande, di 77 euro per una famiglia tipo. Tra le grandi metropoli si segnala Genova, in 7° posizione con +2,6% e, sull’altro fronte, Milano, 4° tra le migliori con +0,5%, un terzo del dato italiano.
La città peggiore d’Italia è Cosenza, +5,1%, poi Trapani, +4,6%, al terzo posto Vicenza, +2,8%. Le migliori Lodi (-0,2%), Cagliari, Ferrara e Aosta (-0,1% per tutte). Terze, con una variazione nulla, tra le altre, Milano e Napoli. La media italiana è +0,9%. Tra le cattive, Genova, 5° con +2,2% e Bari e Bolzano, ottave con +2%.
La scuola dell’infanzia e istruzione primaria è una batosta per chi abita a Forlì-Cesena (+6,3%), Bolzano (+6,1%), Cosenza e Catanzaro (entrambe +5,4%). Risparmi, invece, anche se contenuti, per chi abita a Trieste (-1,6%), Lecco (-1,3%) e Ancona (-1%). In Italia la media è +1,4%.
Limitati, causa Covid, i rincari dei servizi di ristorazione , ossia ristoranti, pizzerie, bar, pasticcerie, prodotti di gastronomia e rosticceria. Al primo posto Grosseto (+3,7%), al 2° Pordenone (+3,3%), al 3° Trapani (+3,1%). Inaspettatamente, però, in deflazione ci sono solo Bergamo (-0,7%) e La Spezia (-0,2%). Evidentemente, quando i ristoratori hanno potuto riaprire, non hanno abbassato i prezzi che in media nazionale segnano anzi un +1,2%, incidendo sul bilancio di una famiglia per 16,50 euro, chiusure a parte.
Le cose vanno ancora decisamente diversamente per i servizi di alloggio , ossia alberghi, pensioni, bed and breakfast e villaggi vacanze. Per via del lockdown e del crollo della domanda turistica, ben 42 città su 68 sono in deflazione. Il record per Venezia, dove i listini degli alberghi precipitano nel 2020 del 10,4%, al secondo posto Trapani, -8,5%, al terzo un’altra città turistica per eccellenza, Firenze con -7,6%. Sul fronte opposto salgono a Cosenza (+4,2%), Terni (+3,6%) e al 3° posto Napoli (+3,1%). In Italia scendono dell’1,6%. Tra le città virtuose, Bologna (4° con -6%), Verona e Lucca (seste con -5,6%), Roma (11° con -4,3%), Rimini (12° con -3,9), Milano (13° con -3,8%) e Siena (15° con -3%).
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